Ci sono diversi modi per frequentare un festival: andare a caccia delle star sul red carpet, chiede
autografi e foto, assistere in anteprima ai blockbaster, o anche partecipare da casa, guardando in tv i
trailer dei film più “promozionati”. E così è anche alla 14.ma Festa del Cinema, a Roma fino a
Domenica 27 Ottobre.
E c’è anche una maniera per cercare titoli che – in tale contesto – potrebbero apparire come
“minori”. In questa ottica parliamo del nuovo film «Bar Giuseppe»(Italia 2019. 95′), regia, soggetto
e sceneggiatura di Giulio Base, presentato nella sezione “Riflessi”. Protagonisti: Ivano Marescotti e
Virginia Diop; nel cast: Nicola Nocella, Michele Morrone, Selene Caramazza, Vito Mancini,
Teodosio Barresi, Ira Fronten, Emanuel Dabone, Simona Greco. Era stato scritturato per un ruolo
anche Ennio Fantastichini, ma la sua vita si è fermata prima del primo ciak.
Eccoci ora nel bar in questione, realmente esistente in un paesino della Puglia, annesso a un
anonimo distributore di benzina, dove si racconta la storia di Giuseppe – appunto – un uomo anziano
e semplice, di poche parole e di tanti silenzi, vittima di pettegolezzi perché, rimasto vedovo,
accoglie come cameriera Bikira, una giovane profuga del Ghana e poi la sposa. Ma c’è anche gente
buona in questo paese e Giuseppe vuol rappresentare questa gente.
Virginia Diop, per la prima volta sullo schermo, affronta sorridente le telecamere sul red carpet,
avvolta in un bellissimo abito bianco, con i suoi capelli neri, lunghi e ricci e con una inattesa
sicurezza, e presenta così il suo ruolo: «Mi sono trovata a interpretare il personaggio di una giovane
profuga, che fugge da una situazione di disagio. I suoi genitori sono morti e lei arriva in Italia e
incontra Giuseppe ed è qui che nasce un amore. Dal primo incontro lei vede in Giuseppe un uomo
con una grande bontà d’animo. È stato intenso come percorso. Sono stata guidata dal regista in tutto
e per tutto. Mi ha affidato un ruolo importante, perchè il mio personaggio sta a raffigurare la
Madonna. Quindi una interpretazione difficile…»
Scrive Antonella Boralevi: «È un film molto bello. Di quei film che ti bucano la pelle e ti trovano
l’anima. Di quei film che il giorno dopo te li ricordi. E anche un mese dopo, c’è una scena che ti
torna nei pensieri. Giulio Base è un regista da mandare in giro ai festival internazionali perché ha
respiro internazionale. Ha scritto e diretto. La sua cinepresa ha una lingua e una voce. Riprese a
campo lungo, ma dal basso, che ti fanno fisicamente entrare nella storia. Lunghe inquadrature
dall’alto, che ti lasciano il tempo di farti domande. Una grammatica del set che ama e conosce la
grande pittura. Guida gli attori in un modo che li rende vivi, li tocchi, li senti. Sono lì con te…»
Spiega Giulio Base: «L’onda che mi ha sospinto verso l’eterna scintilla della “novella” di Giuseppe
e della sua sposa è il loro essere migranti. Gli esiliati, ieri e oggi, sopportano le stesse condizioni:
l’angoscia di non essere accolti, cosa mangiare, dove abitare, con quale lavoro. Da figlio di
migranti, assisto al degenerare delle loro speranze. E ho voluto rileggere la figura di Giuseppe,
eterno padre su cui ci si interroga molto anche oggi, per trovarci un’attualità inaspettata. Mi sono
interrogato su temi metafisici – non solo a partire dai testi biblici o dai magisteri ecclesiastici – ma
anche sull’etica che oltrepassa le barriere della religione. Ho tentato anche di dare una lettura laica
dell’uomo Giuseppe, padre senza tempo, dai valori condivisibili dai credenti e non. La civiltà
occidentale eredita millenni di riflessione dogmatica sulla Famiglia, eppure cos’ha a che vedere
“quella” famiglia di duemila anni fa con l’attuale e contraddittoria famiglia umana?»
Ci sono – infatti – temi religiosi nel nuovo lungometraggio, a cominciare dai nomi attribuiti ai
personaggi (Giuseppe e Bikira, che vuol dire “la Vergine”), tutti argomenti già trattati dal regista
torinese nel film «Padre Pio tra Cielo e Terra» con musiche di Ennio Morricone, nonché nella mini-
serie «San Pietro» con Omar Sharìf, anche se la popolarità è data da «Don Matteo», di cui ha diretto
tante stagioni, dal 2003 al 2011.
Musiche: Piero Freddi; Montaggio: Diego Capitani; Costumi: Laura Costantini; Fotografia:
Giuseppe Riccobene; Scenografia: Isabella Angelini. Film ambientato e girato completamente in
Puglia (tra Loconia, Bitonto e altre location); prodotto da Manuela Cacciamani per One More
Pictures di Roma e Rai Cinema e sostenuto da Apulia Film Commission con un contributo di
300mila Euro.